Il benessere è frutto di una molteplicità di fattori, i soldi ne rappresentano uno ma non l'unico

Il denaro fa la felicità? Una popolazione benestante dal punto di vista economico è anche felice? Non sempre è così: la correlazione tra il Pil di una nazione e la felicità dei suoi abitanti non è diretta e in alcuni casi, la crescita economica può addirittura portare a una diminuzione della felicità, se si traduce in un aumento della disuguaglianza o in un deterioramento dell’ambiente.

 

Il paradosso della felicità è stato teorizzato già negli anni 70 del secolo scorso da Easterlin, un professore di Economia dell’Università della California, membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Secondo Easterlin il paradosso consiste nel fatto che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto poi comincia a diminuire, seguendo una curva a forma di parabola con concavità verso il basso. Possibili spiegazioni potrebbero trovarsi nella teoria dell’adattamento per cui le persone si adeguano rapidamente al loro nuovo livello di reddito, quindi l’aumento della felicità che ne deriva è solo temporaneo o nel continuo innalzamento del livello di aspirazione al consumo all’aumentare del reddito come aspettativa sociale.


Queste argomentazioni sono state riviste e confermate nel 2010 negli studi di Kahneman e Deaton, Nobel per l’Economia: al di sopra di una certa soglia di reddito- individuata in 75.000 dollari annui- l’incremento di reddito non è più associato a un aumento proporzionale di felicità. Nel 2021 un nuovo studio pubblicato su National Academy of Sciences in antitesi con i precedenti mostra che mediamente redditi più elevati sono associati a livelli di felicità sempre maggiori osservando che però il benessere emotivo e il reddito non sono collegati da un'unica relazione.
 

Nell’ottica che la ricchezza non sia dunque l’unico indicatore di benessere di un Paese, in Italia da qualche anno, l’Istat affianca alla rilevazione del valore del Pil, quella del Bes, il cosiddetto “benessere equo e sostenibile”, integrando la tradizionale valutazione della crescita basata sulla ricchezza economica con indicazioni sulla qualità di vita dei cittadini e sullo stato si salute dell’ambiente.


Il senso di benessere emotivo non si basa sulla ricchezza ma considerare i soldi come uno strumento per vivere serenamente è senza dubbio un buon modo di impiegare le proprie risorse.


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